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Diritto del lavoro e sindacale

Licenziamento per mancato superamento del periodo di prova stabilito da un patto nullo

È noto il principio secondo cui il lavoratore può essere licenziato solo sussistendo una giusta causa o un giustificato motivo.

Durante il periodo di prova, invece, ciascuna delle parti del rapporto di lavoro può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o di indennità.

Tuttavia, la possibilità di recedere liberamente dal rapporto in prova da parte del datore di lavoro incontra alcuni limiti.

Tra questi limiti, si segnala che il patto di prova deve essere stato stipulato legittimamente.

In particolare, è necessario che il patto: sia stato stipulato per iscritto; sia stato sottoscritto per accettazione dal lavoratore; sia precedente o contestuale all’inizio del rapporto.

Ma cosa succede nel caso in cui il lavoratore – assunto con contratto a c.d. tutele crescenti – sia stato licenziato per mancato superamento del periodo di prova stabilito da un patto nullo?

La verità è che in giurisprudenza non sussiste unanimità di vedute, disponendo in alcuni casi l’applicazione della reintegra e in altri casi la tutela indennitaria.

In ordine cronologico, si segnala la sentenza del Tribunale di Torino del 16.09.2016, che ha previsto la reintegra del lavoratore licenziato per mancato superamento di un patto di prova nullo, interpretando il licenziamento quale licenziamento afferente alla sfera soggettiva del lavoratore.

In senso contrario, invece, il Tribunale di Milano – con la sentenza n. 730/2017 e con la sentenza n. 2290 del 12.09.2017 – ha applicato la sola tutela indennitaria in favore di un lavoratore – assunto con contratto regolato con D. Lgs. n. 23/2015 – licenziato per mancato superamento del periodo di prova stabilito da un patto nullo, in quanto stipulato successivamente alla sua assunzione.

A parere di chi scrive, il problema interpretativo nasce dal fatto che il D. Lgs. n. 23/2015, applicabile ai soli rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituiti successivamente al 7 marzo 2015, prevede la tutela reale, al di fuori delle ipotesi di licenziamento nullo e di licenziamento inefficace, “esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore” (art. 3, comma 2, D. Lgs. 23/2015).

Il legislatore, quindi, ha previsto una sola ipotesi di tutela reintegratoria, in caso di licenziamento per motivi soggettivi, ulteriore rispetto alle ipotesi di licenziamento nullo e di licenziamento inefficace.

Dal tenore letterale dell’art. 3, comma 2, D. Lgs. 23/2015 discende, sempre a parere di chi scrive, il carattere eccezionale della tutela reintegratoria nel caso di licenziamento del lavoratore assunto con contratto a c.d. tutele crescenti.

Ciò troverebbe conferma negli obiettivi della Legge Delega n. 183/2014 (c.d. Jobs Act) che mira, tra l’altro, alla limitazione del “diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”.

Se così fosse – ma non si vede come potrebbe essere diversamente – l’interpretazione fornita dal Tribunale di Torino, che dispone l’applicazione della reintegra, non terrebbe conto di uno dei principi interpretativi cardine della norma giuridica, secondo cui le disposizioni aventi carattere eccezionale non sono suscettibili di interpretazione analogica (art. 14 disp. prel. c.c.), ma, al più, di interpretazione estensiva.

Tuttavia, nella fattispecie in esame, sembra che il Tribunale di Torino, andando ad interpretare il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova stabilito da un patto nullo quale licenziamento afferente alla sfera soggettiva del lavoratore, fuoriesca dal tenore letterale dell’art. 3, comma 2, D. Lgs. 23/2015, ricadendo piuttosto nell’ambito dell’interpretazione analogica, che, si ribadisce, è normativamente vietata in presenza di disposizioni di carattere eccezionale.

Sul punto è auspicabile un intervento interpretativo dirimente, nell’attesa del quale l’unica soluzione percorribile da parte dell’operatore del diritto sembra essere quella del contemperamento degli interessi dell’impresa, da una parte, con quelli del lavoratore, dall’altra, e quindi, in ottica conciliativa, il raggiungimento di un accordo che in termini quantitativi venga a collocarsi a metà strada tra le mensilità corrispondenti alla tutela reintegratoria e le mensilità spettanti, invece, in caso di tutela indennitaria.

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